sabato 7 aprile 2012

I FAGIOLI E LE GALLINE DELLA NONNA MADDALENA - di Domenico

Su Il Giornale di Vicenza di giovedì 29 marzo 2012, l’intera pagina 55 è occupata dal tema “Dalla fame alla dieta, la tavola vicentina. Il cibo povero dall’orto e dall’aia (oggi sarebbe bio...) nei ricordi dei nonni. Polenta e latte per generazioni; il pane era un lusso”.
Tutta la pagina parla di una ricerca-indagine sull’alimentazione, presentata a Schio in occasione dell’incontro delle 26 sedi dell’Università adulti/anziani dell'Istituto Rezzara. La pagina presenta, oltre a quattro articoli scritti, anche otto foto illustrative delle decine e decine che costituivano la mostra allestita per l’incontro, di varie attività e momenti legati all’alimentazione. Una di queste foto ritrae la nonna Maddalena, china sul cemento antistante la casa di Via Beregane, intenta a selezionare e pulire i fagioli secchi che erano stati esposti al sole, racchiusi in un sacco di iuta, perché seccassero. Dopo averli battuti con un palo, per separare i fagioli dalle teghe (baccelli) che li contenevano, ora la nonna li puliva e separava dai residui delle teghe spezzate, per averli in riserva anche per l’inverno. In queste operazioni la nonna Maddalena era alacre, meticolosa, organizzata (e organizzatrice, anche nel far fare ai figli il lavoro della battitura dei sacchi con i fagioli da sbucciare).
La foto era stata portata alla mostra dalla zia Giovanna, assidua ed entusiasta frequentatrice dei corsi adulti/anziani del Rezzara...

La nonna Maddalena è morta nel 1993, vale a dire 19 anni fa.

Quindi tutti i nipoti e i pronipoti che hanno meno di 19 anni non hanno potuto conoscerla direttamente. Ma dato che per me e per ognuno di noi, suoi figli, era una mamma straordinaria e ricca di bontà, e per il nonno Giovanni e per i nipoti una nonna amata, e per tutti quelli che l’hanno conosciuta una persona di gran cuore, non si può non desiderare che anche i pronipoti abbiano di lei un ricordo bello e anzi bellissimo, immaginando fatti semplici e importanti della sua vita.

Ad esempio la sua opera di massaia, regina dell’orto e grande esperta del pollaio, e di tutte le cure che bisognava avere per provvedere al “cibo povero dell’orto e dell’aia”.
Era una regina attenta al cibo e alla salute dei sui sudditi (pulcini, anatre, faraone, galline, capponi, nonché il maiale...) perché in questo modo provvedeva ad assicurare il benessere alimentare dei propri familiari.
Le galline, durante il giorno, di solito razzolavano nell’aia (cortile) o sotto il portico della casa-fattoria di Via Beregane.
Alla sera si appollaiavano sopra dei pali appositamente appesi sotto il tetto del portico, oppure all’interno di una stanza vicino alle botti della cantina, il cosiddetto pollaio.
Al mattino, quando la nonna andava ad aprire loro la porta, uscivano precipitosamente. Le uova che deponevano durante il giorno, in luoghi a volte nascosti, e che i nipoti, autorizzati della nonna, si divertivano a cercare, diventavano certe volte la cena della sera, a volte del “denaro” da scambiare allo Spaccio dei Mutilati del sig. Nello, con zucchero e altri alimenti, come sgombro e marmellata.
Altre volte le uova venivano selezionate e poi messe a covare sotto una chioccia.

Quando i pulcini nascevano, era affascinante vederli rompere dall’interno dell’uovo il guscio con il beccuccio appena formato. Se era d’inverno, i pulcini restavano, per i primi giorni dopo la nascita, in stalla, con sopra la covata una lampadina accesa per garantire loro un certo tepore. Ma negli ultimi anni, i pulcini venivano acquistati alla cooperativa Acli gestita da Toni Ferrarotto, e presto affidati ad una chioccia che li custodiva e li guidava a scoprire il mondo nel cortile e sui campi. Vale a dire imparare come trovare semi e lombrichi da beccare come proprio cibo. Erano all’inizio della “carriera”, che sarebbe proseguita fino al giorno in cui sarebbero, uno ad uno, finiti in tecia o, in età più matura, in pentola a bollire nella minestra di brodo.

Una volta cresciuti e diventati galletti e galline, i pulcini d’estate andavano a caccia di vermi e lombrichi in mezzo all’erba cresciuta del prato, in vicinanza della casa. Allora costituivano un problema per il nonno Giovanni e lo zio Dino, giustamente preoccupati per lo sciupìo che creavano dell’erba calpestata.
Una giornata di festa, per la famiglia e anche per le galline, era il giorno in cui nella corte veniva la trebbia per effettuare la trebbiatura del frumento. Questo avveniva precedentemente all’uso della mietitrebbia, che mieteva il frumento direttamente sul campo.
Quel giorno era, come detto, una festa anche per le galline. Le quali poi, per giorni e giorni, avevano cibo in abbondanza, che trovavano rovistando nei cumuli dei “spigassi”. Ciò sollevava dalla preoccupazione la nonna, perché in quei giorni le galline non andavano a calpestare l’erba e quindi anche il nonno era più tranquillo.

La dedizione che la nonna aveva per le galline e per il pollame in genere, si manifestava anche nella cura che aveva di preparare un cibo particolare per le ochette (le anatre), un cibo che a noi, quando eravamo bambini, sembrava strano. Lei raccoglieva le piante più tenere delle ortiche, e le tagliava a fettine sottili sottili, allo stesso modo in cui oggi si affetta il cavolo cappuccio per mangiarlo in insalata.
Le ortiche così tagliate le mescolava con farina e acqua (e forse un uovo): faceva cioè il pastòn, e lo somministrava alle giovani anatre deliziate par favorirne lo sviluppo.
Anche quelle ortiche arricchite erano per esse una pastura deliziosa, quasi come lo sono per noi le insalatone nelle quali mettiamo di tutto.






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